giovedì 28 giugno 2012

Gerardo


Dalla finestra del mio ufficio di Comandante lo guardo mentre s’allontana con passo regolare nell’interminabile viale lo mena al congedo.
Lento e sicuro, ne vedo la figura non più snella rimpicciolirsi nella distanza, mentre il mio pensiero va, con affettuosa commozione agli anni trascorsi insieme, ognuno nel suo ruolo, compagni d’armi in una guarnigione che favoriva con lo Spirito di Corpo, quella sincera amicizia che affondava le radici nei duri sacrifici del quotidiano dovere.

Lo rivedo giovane sergente maggiore nella buca del posto manutenzione dell’officina o sotto ad un autocarro all’ombra precaria della grande tenda da campo, mentre io capitano m’affannavo sui carri dei miei esploratori.
Lo ricordo partire per il martoriato Libano, meccanico delle nostre autoblindo delle quali, poi, con una punta di innata quanto involontaria ironia avrà a riferire:
- Ha... ha...hanno più ci... cinghie d’una mo... mo... mototrebbia... .
Sorrido al pensiero di quel suo balbettare che viepiù s’accentuava quando era irritato od imbarazzato, ed in questo mi viene in mente un simpatico aneddoto che lo aveva visto protagonista molti anni prima.

Ero tenente, Aiutante Maggiore del Gruppo Squadroni ed anche Capocalotta e lui, s’era presentato a me - non so bene in quale veste nella circostanza - piuttosto irritato, anzi ad esser precisi era fuori dalla grazia di dio.
- Si... si... signor tee...nente... .
Il sottufficiale a tutti noto per l’altissimo senso della disciplina, sempre moderato nei gesti e nel linguaggio quando si rivolgeva ad un superiore, era rosso in volto e visibilmente agitato.
- Si... signor tenente..., un so... sottotenente piiccolo, bioondo, con gli occhi azzurri e figlio di ...., del quale non fa... faccio il nome, mi ruba le u... uova, ... ed anche i popolli.
Dovete sapere che il nostro abitava con la famiglia all’interno della guarnigione, in un edificio (eufemismo) nel quale con infinita malafede il Genio Militare s’ostinava ad individuare degli alloggi demaniali, nonostante fosse in parte pericolante, impossibile da riscaldare e servito da un’impraticabile strada bianca le cui buche (meglio voragini) si riempivano di terra in estate e d’invischiante fango nelle mezze stagioni.
Poiché uno alla volta i precedenti occupanti erano tutti ormai fuggiti verso più dignitose abitazioni, il Comando aveva individuato negli alloggi colà rimasti vuoti una valida alternativa al  dispendioso albergo da offrire ai sottotenenti di prima nomina.

L’ufficiale al quale si riferiva, inoltre, era di facile individuazione, non tanto per l’apprezzamento all’indirizzo dell’ignara, e certamente virtuosa genitrice, quanto per l’incontestabile evidenza che fosse l’unico subalterno che in quel momento rispondesse esattamente a quella descrizione particolareggiata - ed invero irrispettosa - dell'altrimenti rispettosissimo sottufficiale.

Trattavasi d’un campano già noto al Comando ed alla Calotta per alcuni originali incidenti nei quali era incorso. Egli infatti - rivelandosi d’una spilorceria che l’opinione comune riconduce più ai nati sotto la ligure lanterna - col tempo aveva messo in atto tutta una serie d’iniziative atte a fargli risparmiare fino all’ultimo centesimo del suo stipendio.
Aveva, infatti, preso a disertare la mensa ufficiali (a pagamento), presentandosi puntualmente - mattina e sera - a controllare la qualità del rancio della truppa, ciò almeno finché l’ufficiale al vettovagliamento, individuato lo scroccone, non ebbe ad interdirgli cucine e refettorio.
Negli intervalli tra una lezione e l’altra, poi, ciondolava alla sala convegno truppa sollecitando l’offerta d’un caffè o d’una bibita e, se un incauto cavalleggero gli si fosse avvicinato con l’offerta di qualcosa dopo che quello aveva già consumato, egli accettava prontamente, ordinando al barista di “conservargli la consumazione pagata” per la prossima volta che fosse tornato.
Era perfino stato punito con gli arresti di rigore perché, non contento di risparmiare, aveva aperto un servizio taxi per militari di truppa, laddove con la sua bianca 127 trasportava i cavalleggeri in libera uscita: 500 lire a persona.

- Ma non dire sciocchezze, chi vuoi che ti rubi le uova? E poi lo sanno tutti che qui le volpi scorrazzano a loro piacimento.
- Ce... certo, è ve... ero. Ma le vo...volpi non fanno un buco daa...vanti ed uno di didi...dietro alle uova per su...succhiarle e meno che mamai naa... scondono le penne, dodopo aver mangiato il po...pollo.
Sono passati vent’anni d’allora e sorrido ancora divertito al ricordo dell’episodio.

Ora egli s’è avviato a piedi per quello stesso viale che lo aveva visto arrivare trent’anni prima caporal maggiore neanche ventenne, quando a piedi, zaino sulle spalle e spaurito per l’incognita d’un futuro tutto da vivere, era stato assegnato in questa tremenda guarnigione.

Buona fortuna, Gerardo! Buona fortuna, amico mio.

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