Dalla finestra del mio ufficio di
Comandante lo guardo mentre s’allontana con passo regolare nell’interminabile
viale lo mena al congedo.
Lento e sicuro, ne vedo la figura
non più snella rimpicciolirsi nella distanza, mentre il mio pensiero va, con
affettuosa commozione agli anni trascorsi insieme, ognuno nel suo ruolo,
compagni d’armi in una guarnigione che favoriva con lo Spirito di Corpo, quella
sincera amicizia che affondava le radici nei duri sacrifici del quotidiano
dovere.
Lo rivedo giovane sergente
maggiore nella buca del posto manutenzione dell’officina o sotto ad un
autocarro all’ombra precaria della grande tenda da campo, mentre io capitano
m’affannavo sui carri dei miei esploratori.
Lo ricordo partire per il
martoriato Libano, meccanico delle nostre autoblindo delle quali, poi, con una
punta di innata quanto involontaria ironia avrà a riferire:
- Ha... ha...hanno più ci... cinghie
d’una mo... mo... mototrebbia... .
Sorrido al pensiero di quel suo
balbettare che viepiù s’accentuava quando era irritato od imbarazzato, ed in
questo mi viene in mente un simpatico aneddoto che lo aveva visto protagonista
molti anni prima.
Ero tenente, Aiutante Maggiore
del Gruppo Squadroni ed anche Capocalotta e lui, s’era presentato a me - non so
bene in quale veste nella circostanza - piuttosto irritato, anzi ad esser
precisi era fuori dalla grazia di dio.
- Si... si... signor
tee...nente... .
Il sottufficiale a tutti noto per
l’altissimo senso della disciplina, sempre moderato nei gesti e nel linguaggio
quando si rivolgeva ad un superiore, era rosso in volto e visibilmente agitato.
- Si... signor tenente..., un
so... sottotenente piiccolo, bioondo, con gli occhi azzurri e figlio di ....,
del quale non fa... faccio il nome, mi ruba le u... uova, ... ed anche i popolli.
Dovete sapere che il nostro
abitava con la famiglia all’interno della guarnigione, in un edificio
(eufemismo) nel quale con infinita malafede il Genio Militare s’ostinava ad
individuare degli alloggi demaniali, nonostante fosse in parte pericolante,
impossibile da riscaldare e servito da un’impraticabile strada bianca le cui
buche (meglio voragini) si riempivano di terra in estate e d’invischiante fango
nelle mezze stagioni.
Poiché uno alla volta i
precedenti occupanti erano tutti ormai fuggiti verso più dignitose abitazioni,
il Comando aveva individuato negli alloggi colà rimasti vuoti una valida
alternativa al dispendioso albergo da
offrire ai sottotenenti di prima nomina.
L’ufficiale al quale si riferiva,
inoltre, era di facile individuazione, non tanto per l’apprezzamento
all’indirizzo dell’ignara, e certamente virtuosa genitrice, quanto per
l’incontestabile evidenza che fosse l’unico subalterno che in quel momento
rispondesse esattamente a quella descrizione particolareggiata - ed invero
irrispettosa - dell'altrimenti rispettosissimo sottufficiale.
Trattavasi d’un campano già noto
al Comando ed alla Calotta per alcuni originali incidenti nei quali era
incorso. Egli infatti - rivelandosi d’una spilorceria che l’opinione comune
riconduce più ai nati sotto la ligure lanterna - col tempo aveva messo in atto
tutta una serie d’iniziative atte a fargli risparmiare fino all’ultimo
centesimo del suo stipendio.
Aveva, infatti, preso a disertare
la mensa ufficiali (a pagamento), presentandosi puntualmente - mattina e sera -
a controllare la qualità del rancio della truppa, ciò almeno finché l’ufficiale
al vettovagliamento, individuato lo scroccone, non ebbe ad interdirgli cucine e
refettorio.
Negli intervalli tra una lezione
e l’altra, poi, ciondolava alla sala convegno truppa sollecitando l’offerta
d’un caffè o d’una bibita e, se un incauto cavalleggero gli si fosse avvicinato
con l’offerta di qualcosa dopo che quello aveva già consumato, egli accettava
prontamente, ordinando al barista di “conservargli la consumazione pagata” per
la prossima volta che fosse tornato.
Era perfino stato punito con gli
arresti di rigore perché, non contento di risparmiare, aveva aperto un servizio
taxi per militari di truppa, laddove con la sua bianca 127 trasportava i cavalleggeri
in libera uscita: 500 lire a persona.
- Ma non dire sciocchezze, chi vuoi che ti rubi le uova? E poi lo
sanno tutti che qui le volpi scorrazzano a loro piacimento.
- Ce... certo, è ve... ero. Ma le vo...volpi non fanno un buco daa...vanti ed uno di didi...dietro alle uova per su...succhiarle e meno che mamai
naa... scondono le penne, dodopo aver mangiato il po...pollo.
Sono passati vent’anni d’allora e
sorrido ancora divertito al ricordo dell’episodio.
Ora egli s’è avviato a piedi per
quello stesso viale che lo aveva visto arrivare trent’anni prima caporal
maggiore neanche ventenne, quando a piedi, zaino sulle spalle e spaurito per
l’incognita d’un futuro tutto da vivere, era stato assegnato in questa tremenda
guarnigione.
Buona fortuna, Gerardo! Buona
fortuna, amico mio.
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